Per il settore del vitivinicolo è stata creata a livello europeo la così detta “𝐩𝐢𝐫𝐚𝐦𝐢𝐝𝐞 𝐝𝐞𝐢 𝐯𝐢𝐧𝐢” che ordina idealmente le varie tipologie in base alla loro qualità.
Al vertice della piramide troviamo i vini 𝐃𝐎𝐏 (a Denominazione di Origine Protetta), seguiti dai vini 𝐈𝐆𝐏 (ad Indicazione Geografica Protetta). La definizione di entrambe le categorie è data dall’articolo 93 del 𝐑𝐞𝐠. 𝐔𝐄 𝟏𝟑𝟎𝟖/𝟐𝟎𝟏𝟑 che specifica l’importanza del legame con il territorio: non a caso nell’ordinamento italiano erano originariamente conosciuti con la dicitura di “vini tipici”.
La differenza sostanziale tra le due categorie è che per i vini DOP le uve utilizzate per ottenere il prodotto devono provenire esclusivamente dalla zona geografica di riferimento mentre per i vini IGP è lasciato un margine del 15% delle uve utilizzate che può provenire anche da altre zone geografiche (purché facenti parte dello Stato di appartenenza).
Un gradino sotto i 𝐯𝐢𝐧𝐢 𝐯𝐚𝐫𝐢𝐞𝐭𝐚𝐥𝐢, che rivendicano in etichetta la varietà d’uva utilizzata per la loro produzione. Il riferimento normativo è il 𝐑𝐞𝐠. 𝐔𝐄 𝟑𝟑/𝟐𝟎𝟏𝟗 che pone come requisito per la rivendicazione in etichetta della varietà di uva e dell’annata di vendemmia, l’utilizzo di almeno l’85% di uva della varietà e dell’annata indicata nella produzione del vino. Ogni Stato ha inoltre stabilito quali vitigni sono consentiti per la produzione di vini varietali tranquilli. In Italia sono 7: Cabernet franc, Cabernet sauvignon, Carbernet, Merlot, Chardonnay, Sauvignon e Syrah.
Infine, chiudono alla base della piramide i 𝐯𝐢𝐧𝐢 𝐠𝐞𝐧𝐞𝐫𝐢𝐜𝐢 (anche detti “da tavola”), per i quali è possibile indicare solo il colore di base o un nome commerciale di fantasia che non richiami una zona geografica o un nome protetto.

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